Poesie di scrittura e luce. La potenza di parola e materia nell’ opera OSA di Francesca Matarazzo.

di Mira Carboni

L’ opera OSA è stata generosamente donata da Francesca Matarazzo a sostegno della costruzione di Casa del Sollievo Bimbi, destinata alla cura dei malati terminali in età pediatrica.
L’ opera è stata la più quotata (a pari merito con la mela di Alik Cavaliere) durante l’Asta benefica organizzata da FONDAZIONE VIDAS IL 29 maggio 2018 presso Palazzo Castiglioni a Milano e battuta da Raphaelle Blanga di Sotheby’s.

Una tela bianca, su cui scorrono parole come un fiume in piena.
Osservando l’opera OSA di Francesca Matarazzo, sembra di toccare con mano le emozioni.
Cemento e pietra in piccoli granuli formano ciascuna lettera, imponendosi sul supporto con la loro potente matericità, come a voler sottolineare il ” peso” dei concetti espressi.
Le parole si fanno vive, come se fossero ” cementificate” nel pensiero: aggettanti, continue, indelebili, indistruttibili.
Quelle bianche scritte in corsivo ci parlano di delusioni, tradimenti, solitudine ma allo stesso tempo di speranza e amore per la vita.
Leggendo tra le righe di questa poesia visiva, compaiono alcune parole in maiuscolo: ” SOPRAVVISSUTO” ” SENTIRE UNA VOCE”, “AMO”.
Ci indicano come nonostante la vita ci metta dolorosamente alla prova, dobbiamo sempre ” osare” e rialzarci.
Le parole di Francesca Matarazzo sono personali, sentimenti vissuti in prima persona, ma allo stesso tempo paiono diventare universali.
Sembrano voler gridare al mondo, con quel fluire incessante sulla superficie, quanto pesa la loro verità.
La forza di un materiale industriale come il cemento e di uno naturale come la pietra, si armonizzano, acquisendo una valenza tattile e scultorea, unificati dal tenue medium del bianco.
Molti artisti tra gli anni cinquanta e sessanta del novecento hanno affrontato il tema del bianco: Manzoni, nei suoi Achromes, Fontana nei suoi perfetti concetti spaziali, Castellani nelle sue superfici introflesse ed estroflesse, Burri nella frammentazione della materia, Savelli, profondo studioso delle innumerevoli possibilità percettive di questo colore che racchiude in sé “la somma di tutti i colori”.
In Francesca Matarazzo il bianco non rappresenta certo un azzeramento pittorico, come nei primi Achromes di Piero Manzoni, ma sembra piuttosto voler brillare di luce propria, comunicandoci un senso di quiete interiore.
La candida tela, su cui si costruiscono quelle perfette parole, sembra acquisire una valenza simbolica e spirituale.
E’ come se quel bianco-pace volesse “stemperare” il sentimento di delusione e afflizione che traspare da certe frasi, conducendoci fino ad un traguardo fatto di luce e meraviglia, di rinnovata consapevolezza e fiducia in noi stessi.
Le frasi di Francesca Matarazzo vogliono toccarci e ci riescono.
Respirano sulla superficie della tela, germogliano e crescono.
Diventano scultoree nei nostri cuori.