L’urlo della moltitudine. Edvard Munch.

di Mira Carboni

“…Dinanzi a me non fuor cose create se non etterne, e io etterno duro. Lasciate ogni speranza voi ch’ intrate” . (Dante Alighieri, Inferno, Canto III )

La minacciosa scritta sulla porta dell’Inferno, mette in guardia chi sta per entrare; una volta varcata la soglia, non ci sarà speranza di tornare indietro.

Lo sapeva già Dante nel 1300..e Edvard Munch  dal 1892 ripropone l’argomento in pittura: nelle sue opere esprime proprio l’ inferno, la sofferenza, lo sconvolgimento interiore.

L’impossibilità di reagire a una situazione straziante e estenuante.

L’uomo può solo farsi travolgere inesorabilmente dal proprio destino. “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?” si domandava anche Paul Gaugin  in una delle sue ultime opere, dipinta nel 1897.

La vita di Munch fu, fin dall’infanzia, costellata da tragedie familiari.

In giovane età venne privato della madre, morta di tubercolosi e poco dopo della sorella, del padre, del fratello, in una sequela di terribili lutti.

In molte sue opere rievoca dunque quella solitudine, quell’afflizione di un figlio cresciuto sventuratamente senza famiglia, privato degli affetti, ossessionato da un passato ingiusto e spaventato da un futuro senza speranza di riscatto.

Munch, già nel dipinto Sera sul viale Karl Johan dl 1892, raffigura una folla di uomini e donne, dalle fattezze quasi spettrali: i volti pallidi e deformati, gli occhi spalancati colmi di paura.

Sono una fiumana implacabile di persone senza identità che, nella notte, marciano impassibili verso l’osservatore.

L’opera profondamente simbolista, esprime un opprimente senso di spaesamento e alienazione.

La via del passeggio di Oslo, dove è ambientata la scena, diventa uno spazio lugubre, angusto, attorniato da sinistri edifici.

Munchkjstreet92 Edvard Munch, Sera sul viale Karl Johan, 1892, Bergen, Kunstmuseum

La tecnica compendiaria utilizzata da Munch contribuisce a creare un’atmosfera di tensione, che sfocia in un offuscamento emotivo, uno straniamento interiore.

L’ impossibilità di reagire culmina nell’opera più famosa del maestro, l’ Urlo del 1893, di cui lui stesso ci raccontò il significato :” Camminavo lungo la strada con due amici- quando il sole tramontò.I cieli diventarono improvvisamente rosso sangue e percepii un brivido di tristezza.Un dolore lancinante al petto.Mi fermai-mi appoggiai al parapetto, in preda a una stanchezza mortale. Lingue di fiamma come sangue coprivano il fiordo neroblu e la città. I miei amici continuarono a camminare- e io fui lasciato tremante di paura. E sentii un immenso urlo infinito attraversare la natura.”

Tutti gli elementi presenti nella descrizione dell’artista compaiono vorticosamente nel dipinto:  il cielo infuocato, opprimente, che quasi sembra pesare come un macigno sulla testa del protagonista.

Gli amici che, sono ormai presenze lontane, come macchiette sul ponte.

L’urlo angoscioso,  tuona nel petto e risuona spaventoso tutt’intorno.

I colori innaturali sono specchio dell’anima e metafora di quello smarrimento di equilibrio, quell’armonia dell’uomo che, perde il suo ruolo nell’universo.

L’inquietudine personale diventa sofferenza collettiva, che rieccheggia lontano e trasfigura l’ambiente circostante.

Il dolore, non è più contenuto.

Qui passiamo dal simbolismo al vero e proprio espressionismo.

le-cri-1910 Edvard Munch, il Grido, 1893, Oslo, Munch-museet

Munch riprese e rielaborò molte volte le sue immagini.

Nel 1894 pensò di fondere ben due sue opere per crearne un’ altra : l’ Angoscia.

Rivediamo il ponte del Grido, con lo stesso cielo rosso e minaccioso insieme ai manichini-fantasmi dell’ opera Sera sul viale Karl Johan che però, non passeggiano più nella via del centro.

angoscia-edvard-munch Edvard Munch, Angoscia, 1894, Oslo, Munch-museet

L’idea di dolore e struggimento risulta dunque amplificata con questi uomini maschere, fantasmi, che attraversano come anime inquiete e senza meta il ponte della vita.

Sono già scheletri, morti, privati della loro psiche, intrappolati e attanagliati da un’ esistenza che per loro non ha senso.

Sono maschere su un  palcoscenico che recitano la tragedia della loro vita.